Politica — 08 Gennaio 2015

Mi chiedo: ma il vero problema è davvero ampliare e rendere effettiva una libertà di espressione e di pensiero che si ritiene ancor’oggi non tale, ancora limitata e incapace di espandersi a pieno?

Forse, mi domando, non si potrebbe naufragare nel paradossale effetto opposto, ossia che, impegnati in questa strenua e cieca lotta, si arrivi a consentire e tutelare un abuso di una così importante libertà?
Peraltro, come conciliare due concetti così distanti e all’apparenza antitetici, come quello di “libertà” e “abuso”?

E come definire i confini – ammesso, ma penso proprio di sì, che vi siano – di quel “diritto di esprimere liberamente la proprio opinione”, pilastro del progresso di ogni società e individuo?

JE SUIS CHARLIE

Ci si chiede poco, secondo me, se il problema non sia un altro. Laddove nasca un lecito dubbio di un abuso di una libertà tanto essenziale quanto pericolosa come quella di esprimersi, è scontata una reazione. E questa reazione sarà di comprensibile sdegno, da parte di chi, vittima di questo paradossale abuso di libertà, veda la sua dignità umiliata e calpestata – non volendo troppo esagerare, soltanto derisa –. Una reazione lecita e dovuta, ma che dovrebbe essere “ugualmente libera”. Il dubbio, che mi sorge spontaneo, è che alcune culture e gruppi sociali non siano in grado di manifestare ugualmente e liberamente la loro opinione, per smascherare chi, forse senza neanche accorgersene, invade la libertà altrui espandendo a dismisura i confini della propria, nascosto dietro ad una satira, maschera di una mancanza di rispetto e di comprensione. Trasformando una “libertà naturale” di estrinsecare le proprie idee, in una “libertà iperbolica”, esagerazione e fanatismo di se stessa. Non ci si chiede se, poi, ogni “cultura” conceda la “libertà di essere liberi”. Liberi di non usare “la forza”, soprattutto laddove non si debba rispondere ad altri atti di forza.

E allora, non potrebbe essere che Charlie è stato fin troppo libero? Estremamente libero di dipingere un quadro satirico della realtà che, magari, alcune volte, non ha neanche strappato un sorriso. A non essere stato libero, forse, è chi si eretto a “castigatore sociale”. Chi ha troncato drasticamente la disputa, non per scelta, ma perché, ancor’oggi, ci sono luoghi lontani – ma non troppo – nel mondo dove questa è l’unica soluzione conosciuta. Non una delle soluzioni, ma la sola e sacra, degna di un Dio.

Ho paura, però, che grazie ad un fin troppo opportunistico buonismo tutto ciò venga fatto passare in secondo piano. Perché a parlare di intere culture o gruppi sociali “si generalizza”.
Insomma, il problema è lo stesso, ma visto da un altro angolo visuale. Cosa sarebbe accaduto se, per assurdo, alle vignette di Charlie si fosse risposto con altre vignette? Se qualcuno, con molta più audacia e intelligenza di quella che richiede un attentato terroristico, avesse svelato al mondo che, ciò che ora ci affrettiamo a definire “satirico”, era in realtà offensivo e di cattivo gusto? Le azioni di Charlie rimarrebbero le stesse e, secondo me, non brillerebbero più come martiri di una libertà di espressione che non gli è stata concessa, o non gli è stata concessa a pieno. Ci saremmo sentiti tutti ancora gli offensivi e troppo liberi Charlie? O avremmo preferito schierarci dalla parte dell’offeso, genialmente capace di smascherare gli abusi altrui con la stessa arma? Non con armi diverse – incivili e condannabili – che, però, quasi fossero una bacchetta magica, trasformano tutto ciò che toccano in oggetto di ammirazione e idolatria.

Je Suis Charlie Hebdo

Per una risposta del genere, però, bisogna avere una mente libera e pensate. Chi ha preferito distruggere la contesa, per difendere la propria ieratica superiorità, piuttosto che dar vita ad una dialettica, non la possiede. Perchè non sa di poterla avere, perché certe libertà di esprimerci, che noi agogniamo sempre più esagerate, qualcuno neppure se le sogna.

Critichiamo tanto la tirannica Europa, l’Europa delle storiche dittature, capaci, si dice, di chiudere menti e bocche. Potrebbe provocatoriamente dirsi che vogliamo essere più liberi di quello che potremmo essere. Un anelito che ci viene dalla conoscenza della libertà. Ma avremmo comunque questo anelito laddove per noi la libertà fosse vista solo come una chimera, come un atto di superbia?

Per non far la parte degli oppressori e degli antidemocratici si finisce per non criticare chi, da qualche altra parte più a Oriente nel mondo, nega anche l’immaginazione di ciò che per noi è scontato.

Due visioni inconciliabili, in cui se ne difende una, così diversa religiosamente e eticamente, solo per spirito di acritico rispetto della diversità. Perché non ci accorgiamo che, forse, certi limiti servono, ma che nel mondo c’è chi non è soltanto limitato, ma completamente lobotomizzato. Lì sì, sono davvero con la bocca, gli occhi e le orecchie tappate.
Per questo io sono Charlie, ma non ne sono orgoglioso.

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Niccolò Naso

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